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Lura...

Quando giù fa troppo caldo,

ed aumenta la calura,

una cosa tu puoi fare:

corri al fresco in quel di Lura.

 

E' un simpatico paesino

fra Blessagno e San Fedele,

io da lui sono attirato

come l’orso con il miele.

 

C’è una strada stretta, stretta,

sulla destra c’è un parcheggio,

sul davanti panorama

e di sopra c’è l’alpeggio.

 

Sta nel centro di un bel monte

ed intorno è tutto verde,

chi purtroppo non l’ha visto

mai saprà cosa si perde!

 

Che silenzio, che quiete,

questo è il posto dei bambini

e nei boschi se sei bravo

puoi trovare anche i porcini.

 

E per i palati fini,

diciam pure “golosoni”

capolino fan nei boschi :

more, ribes e lamponi.

 

Sta nel centro una chiesetta,

che purtroppo è abbandonata,

però ha ancora una funzione,

fa la guardia alla vallata.

di Mauro Grimoldi

VolpeLa volpe e i suoi volpacchiotti.

Mi ero incamminata, alle cinque del pomeriggio, verso Piazza Nava, per godermi i soliti "particolari ": la lucertola al sole, i garofanini rossi fra l'erba, i fiori viola da raccogliere per far seccare tra le pagine di un libro, le farfalle bianche e gialle che si rincorrono e ti confermano che l'aria che respiri è pura.
Di solito mi fermavo sotto un melo selvatico appena fuori paese, a metà salita, perchè mi è sempre piaciuto osservare il cielo attraverso i suoi rami.
Ma quel pomeriggio la sorpresa è stata grande. Proprio sotto quel melo c'era una volpe con tre volpacchiotti.La madre, dal colore fulvo, aveva un corpo relativamente lungo, zampe brevi ma vigorose, un muso appuntito e due orecchie grandi. La coda dal pelo folto, superava in lughezza la metà del corpo.
I piccoli erano graziosissimi, curiosi, ma intenti a gustarsi il cibo.
Ho sempre creduto che la volpe fosse un animale predatore e mi ha quindi meravigliato vederla nutrirsi delle mele cadute dall'albero.
Sono rimasta immobile, a debita distanza, e ho osservato la madre e i piccoli con emozione. Mi sono detta che quella era la volpe furba e scaltra che compare nelle favole e nelle leggende che mi erano state raccontate da piccola, e che, a mia volta, avevo raccontato ai miei figli, alle mie nipoti e anche ai miei scolari.
Dopo pochi istanti la volpe mi ha intravista e subito ha spinto i piccoli oltre la strada, tra i cespugli, per poi raggiungerli con un balzo dopo essersi accertata che nessuno fosse rimasto indietro.
Sono tornata sul posto per diversi pomeriggi, sempre alla stessa ora, e spesso ho rivisto la volpe con i suoi piccoli. Ogni volta mi sembravano meno impauriti e un po' più disposti a lasciarsi guardare.
L'ultima volta che li ho visti era un tardo pomeriggio di fine estate.

Milena Cavaleri

Don Camillo e PepponeQuest'anno in molte città e paesi ci solo le elezioni del Primo Cittadino (Sindaco).

A me viene in mente una storiella che vi voglio, raccontare, storia lunga, ma simpatica. Diciamo che si riferisce più o meno ai tempi di Don Camillo e Peppone, paese dove c’era la scelta di due partiti: D.C.o P.C.

In questo caso i partiti erano tre: D.C. (Democrazia Cristiana) che non aveva concorrenza e difatti non si preoccupava mai di fare propaganda; P.L.I (Partito Liberale Italiano) Partito dei ricchi, che aveva naturalmente tendenza D.C., e un piccolo Partito Socialista che non faceva paura; ma ultimamente questo Partito Socialista incominciava ad ingrandirsi, perché un gruppo di estremisti, in fama di mangiapreti, aprì in Paese la Sezione del Partito Socialista, questo naturalmente creava dei problemi alla D.C., per la prima volta c’era un vero Avversario.

Cosicchè se i Socialisti promettevano ai contadini di tenere, a breve distanza, la terra, i D.C. gli assicuravano a lunga scadenza il cielo, e cantavano rivolgendosi alla Madonna:

DCDeh benedici o Madre al grido della fè
Noi vogliam Dio che è nostro Padre
Noi vogliam Dio che è nostro Re

Noi vogliam Dio in ogni scuola,
Perché la cara gioventù
La legge apprende la parola
Della sapienza del buon Gesù

Noi vogliam Dio dov’è la legge
Dov’è la sapienza, dov’è l’amor
Dov’è chi giudica, dov’è che regge
Dov’è che nasce, dov’è che muor.

A questo programma elettorale in chiave mistica i Socialisti opponevano fatti e cifre: i morti di pellagra, la disoccupazione, lo sfruttamento della povere gente, le tasse, gli emigrati in America col Passaporto rosso.

Simbolo PSISponsorizzatore della Sezione sociale e candidato era l’Architetto Dino Colantuomo, un milionario che aveva rotto i rapporti con la famiglia per le sue idee rivoluzionarie;

Bell’uomo vestito con eleganza inglese, partiva dalla città a bordo di una Isotta Fraschini (macchina lussuosa a quei tempi) che lasciava nel cortile di una fattoria prima dell’abitato, nascondendola dietro ad un pollaio e, fattasi prestare una bicicletta, pedalava fino alla Piazza Centrale del paese, con la fronte imperlata di fasullo sudore proletario.

Nelle precedenti elezioni il candidato socialista aveva promesso e ottenuto la fermata del treno direttissimo in paese, conquista inutile, perché il direttissimo si fermava e non saliva nessuno, non avendo, la gente, i soldi per pagare il biglietto.

Dino Colantuomo, avvicinandosi le nuove elezioni, ebbe un’idea migliore: “Prima del treno è necessario procurare ai poveri un altro mezzo di trasporto strettamente personale, di cui molti, purtroppo, sono ancora sprovvisti! Le scarpe” E offrì al Partito , a proprie spese, cento paia di Sgalmare, perché cento era il numero sicuro per vincere le elezioni.

Che cos’erano le sgalmare? Una rozza calzatura a stivaletto, fatta con uno zoccolo di legno di abete alto 3 centimetri, leggermente arcuato, la tomaia di rigido corame inchiodato sul bordo esterno del legno, la cui durata era prolungata da due protettive mezze lune di latta, l’una in punta, l’altra sul tacco. Le sgalmare erano le zattere su cui i nonni dei futuri portatori di “Timberland”, attraversarono le tempeste dell’inverno, oceani di fango e di neve, i piedi violacei di freddo, bloccati e quasi ingessati dentro l’atroce stivaletto, privo di ogni elasticità, ma averli era un lusso a quei tempi.

Nelle precedenti elezioni i notabili liberali che di solito si classificavano secondi, naturalmente dopo la D.C., usavano sedurre gli elettori con pranzi offerti in trattoria a pingui sensali e commercianti, gente che a casa mangiava con regolarità.

La novità strategica dell’Architetto Colantuomo fu quella di dare agli elettori ciò che essi non avevano.

Nella sezione del Partito la sua offerta, sebbene generosa fu ascoltata non senza perplessità, i compagni socialisti ne discussero a lungo.

“Tutto bene!” disse il Responsabile della Sezione, noi distribuiremo le sgalmare!, sono 100 paia, a chi le diamo?

“Ai meno abbienti, è naturale” rispose l’architetto.

“Non è detto però che il meno abbiente sia il più Socialista” - ribattè il Responsabile - questo purtroppo è vero, ci sono delle famiglie poverissime che per ignoranza, per rassegnata soggezione , per timore di chissà quali rappresaglie continuano a dare il voto ai ricchi.

Per fortuna ci sono dei ricchi come l’architetto Colantuomo, che sebbene proprietario di palazzi a Venezia, Roma e via e un allevamento di cavalli nel Parmigiano, dimostra sentimenti socialisti, non a parole, ma coi fatti e di ciò non lo ringrazieremo mai abbastanza.

Ma facciamo un’ipotesi: “Se i poveri, ricevuto le sgalmare, votano per un altro Partito?”. Questo è un rischio che bisogna correre, dissero tutti. Andiamo adagio, si può fare una selezione, mica dobbiamo regalare della roba alla cieca. Per esempio Pietro Sberla , lo escluderei.

Pietro Sberla, il bigliettaio della Stazione? Ma se canta sempre Bandiera Rossa, quando ha bevuto, passata la sbronza, frequenta il Circolo Parrocchiale.

Il Giovanni Scarliga, che bestemmia, anche quello non va bene. Bestemmia solo quando si dà una martellata sul dito o quando la moglie gli fa le corna, poi è anche baritono nella Scola Cantorum, secondo me è una spia dei Preti. Mi gioco la testa se non va a riferire l’elenco dei nostri iscritti!

“Uh, come corri.”

“ A pensare male non si sbaglia quasi mai”. Quest’anno per la Benedizione Pasquale, il Parroco ha saltato la casa di tre nuovi iscritti di questo anno, chi gli avrà fornito i nomi? Qualche moglie in Confessione. Però se insisti questi li depenniamo, però c’è il Mario Ciacola, l’aiutante del Notaio quello le prime scarpe della sua vita le ha avute dall’Esercito. Il Ciacola?, falso come Giuda, quello è capace di cantare: “Noi vogliam Dio, sull’aria di Bandiera Rossa. E il Giacomo Testadura? Anche quello parla Male dei preti, poi manda il figlio a Messa a fare il chierichetto.

Depennati anche questi, resta però da risolvere il problema di fondo “Come evitare i tradimenti”, come assicurarci che le sgalmare vadano in mano, anzi ai piedi di gente che ci voti per davvero.

A questo punto il Gianni Paraguai, emigrato da giovane il quel Paese, detto “Il Parlamai”, una persona che ascolta tanto e parla poco, grande dote che ormai è fuori moda e appartiene al passato, perché tutti noi sappiamo parlare, ma è importante farlo al momento giusto.

Il Gianni Paraguai disse: “ Ho un’idea, distribuiremo prima delle elezioni, le sgalmare sinistre, così vincoleremo 100 elettori, ai quali consegneremo le sgalmare destre dopo la pubblicazione dei risultati. Se vorranno l’altra scarpa saranno costretti a darci i voti. Proporrei addirittura il seguente motto: “Votate la sinistra, vincerete la destra!”. Vedrete sarà un trionfo. Idea subito accolta dagli altri compagni. Stava diventando una bella lotta anche stavolta. La reazione dei D.C alla distribuzione delle monosgalmare non si fese attendere.

Le beghine (tutte donne di chiesa e Comunione) giravano per le case spaventando i dubbiosi e i perplessi: “Non votate i Socialisti” sono quelli che hanno scritto sui muri “ Cloro al Clero”, i loro giornali satirici prendono in giro il Papa e i Sacramenti. Meglio andare in Paradiso scalzi che all’ Inferno con le sgalmare, anche perché sono di legno e vi brucereste subito i piedi. Nulla fu risparmiato in questi casi per distruggere professionalmente e moralmente la figura di Dino Colantuomo. Si mormorò di precedenti poco puliti, per i quali sarebbe stato espulso dall’Albo degli Architetti e, massimo disonore, quella bionda tedesca da lui presentata come moglie , era soltanto la sua segretaria con funzioni di amante.

Naturalmente tutte falsità e lo sapevano anche loro, ma l’importante è vincere le elezioni e questi giri di parole sporche fanno parte del gioco tanto c’è sempre qualcuno che ci crede, dicevano e poi per loro dire falsità non era peccato, facevano il bene della chiesa.

Il Partito Liberale stava a guardare, i suoi soliti voti, li aveva sempre.

Aperte le urne i Socialisti contarono 40 voti. Ciò vuol dire che sessanta percettori di sgalmare avevano tradito. Considerando poi che almeno 10 voti, provenivano dal direttivo della Sezione Socialisti Tesserati e non “Sgalmarati”, sulla cui lealtà non era lecito dubitare. Il numero dei traditori saliva a settanta.

“Galileo”* hai vinto, esclamò livido di rabbia, l’architetto Dino Colantuomo, che nei momenti importanti si compiaceva di citazioni classiche, dopodichè inforcò la bicicletta, andò a prendere l’Isotta Fraschini, dietro il pagliaio e sparì dalla circolazione, per sempre.

Mancando i finanziamenti dell’Architetto la Sezione si trovò in difficoltà non c’erano neanche i soldi per pagare la pigione del locale. E che fare delle 100 sgalmare destre? Accumulate in uno sgabuzzino? Cederle al padrone di casa, in conto dell’ultimo mese di affitto? Si sarebbe messo a ridere.

Allora il responsabile della Sezione, prima di chiudere definitivamente, espose un avviso che diceva: “ Sebbene i risultati elettorali non ci siano stati favorevoli, noi manteniamo la premessa, pertanto tutti coloro che ci hanno dato il voto sono invitati a passare entro tre giorni, nella nostra Sede per ritirare l’altra sgalmara.

Si presentarono in cento!!

* Galileo Galilei era cattolico.

Scritto da Eliseo Ceschina

La CappellettaLa Cappelletta

1

Le mille volte che i perduti passi

ti mossi incontro, Cappelletta amica,

chi le potrà contar se non i sassi

e l’erba e i boschi della strada antica

 

che a te conduce? Sa la verde soglia

le volte che sostai col libro accanto

e sai tu che non sempre era la voglia

di leggere a fermarmi. Nell’incanto

 

del primo sole, nella primavera

del giorno ti scoprivo la mattina

custode dei ricordi della sera,

 

e la tua dolce, bianca Madonnina

mi dava per un fiore e una preghiera

il suo perdono per la sera prima...

 

2

Un’altra volta, in quella benedetta

ora del dì che il sol sull'orizzonte

lotta per non morire, Cappelletta,

e gravi scendon dall’usato monte

 

le greggi al piano, con lo scampanio

festoso del ritorno (segna l’ora

del ritorno di tutti, qui!) pur io

lento cammin volgevo alla dimora

 

e nel passarti accanto salutavo

la Madonnina bianca, ingentilita

dal raggio estremo mentre la guardavo

 

- orna di fiori freschi e d’infinita

serenità pervasa - e le mandavo

un bacio sulla punta delle dita.

 

3

Poi la sera... E la notte, quando tace

degli uomini la voce e sol le cose

-vive, nel buio- parlano di pace

con quelle loro voci misteriose,

 

quando sull’erba bruna e sui sentieri

bianchi stillan le gocce di rugiada,

accompagnato sol dai miei pensieri

ripercorrevo la deserta strada

 

e mi fermavo, assorto, al tuo balcone

o ai bordi del minuscolo sagrato:

con la mente riandando alle persone

 

più care del presente e del passato

mentre, laggiù, cantava una canzone

la valle del Mulino Abbandonato.

Tratto dal libro “d'ind'èi d'indè” di Deo Ceschina - Si ringrazia la moglie Elisa per la pubblicazione.

Allegra CompagniaRime del Cantastoria

" IL TOUR DE FRANCE DI PIGRA "

(0ssia l'allegra brigata del raduno serale di Via Vai n° I.)


Pìgra - anno Santo I950

— A tutti i "girini", come prova di amicizia e di simpatia —
Per dare la gioia di potermi ricordare.
Con un monito per ognuno : " Sii sempre ilare nella tristezza e triste
nell'ilarità"

C'è rose —una canzone dice- nel mio giardino,
c'è il sole, i fiori, il monte, l'allegro cardellino.
In mare c'è la barca diretta a Santa Fè,
c'è un quaglio al mio paese chiamato dei Preprè.
Calura c'è in agosto, c'è il fresco fra le fresche,
c'è Gianni sul Cervino, c'è il verde.....nelle tasche,
C'è l'alba alla mattina, c'è ancor l'alta marea,
o'è il fuoco nell'inferno,c'è guerra giù in Corea.

C'è a questo mondo gente che quà e là emigra,
quest'anno c'è persino il Tour de France di Pigra.

E' un Tour meraviglioso e bene organizzato:
associazion del ridere; ridere buon mercato !!
I componenti o, meglio, tutti i girini sono
giovani d'ambo i sessi che attendono il perdono
da tutta quella gente che ha i timpani sfondati
dai loro canti "ameni", ma forse.....un po stonati.
Implorano clemenza dal popol tutto quanto
che hanno esasperato con l'ufficiale canto!!
E' un canto indiavolato, con doppio ritornello.
C'è pure chi sostiene che sia tanto bello......
Lo cantano di notte più ancora che di giorno;
fra tanta gente ch'ode nessun capisce un...corno!
Lo cantan nelle case.....scuotendone le porte,
lo fischiano, lo suonano persino al pianoforte!!
Tu pellegrin se a Pigra per occasione passi
"il becco di quell'anitra" l'udrai cantar dai sassi !!!
E' un inno spensierato.....(la bestia è qualche chilo)
e forse è stato appreso dai....bimbi di un asilo....
Quancuno potrà chiedere in quale modo è nato
questo curioso "Giro"...per cui io spendo il fiato.
Dirò sinceramente ch'è nato all'improvviso,
senza nessuna idea, manco con un avviso.
S'è fatto un dì da se, sbucando naturale
e proprio come un fungo dopo un bel temporale...!
C'è una casetta a Pigra in Via Vai all'uno.
Lì i giovani speranti si davano raduno.
Crescevan sempre .... Un giorno la casa di Jolanda
avvenne che....divenne di gioventù lomanda...
La donna, poveretta, aveva un bel da fare
nel ricercare sedie per tutti accomodare....
Parlaveno del meno, talvolta anche del più;
sempre gli stessi temi, almeno supergiù.

Nè, strano, mai parlavan del per o del diviso;
forse temeva ognuno di non andar preciso
chè, dicasi in sordina, non sono delle cime...!
( a chi proteste avanza, rispondo per le rime!!)
Qualche trovata buffa, qualche scemenza allegra:
ridevan rumorosi, come gentaglia negra!!! '
Poi....con sollievo grande della padrona in festa,
partivan risoluti, con i più vecchi in testa.
Andavan sempre, quasi come per muta intesa,
sulla comune strada dove.....non c'era spesa,
perchè, sventura nera!!, (sia detto fra di noi) ·
spessissimo in bolletta erano quegli eroi!!!!
Faeevan lentamente e soliti tre passi,
godendo nel passare fra prati, boschi e sassi.
Guardavano la luna, lassù nel ciel stellato,
"vieni a mangiare l'anitra" cantando a tutto fiato.
A parte di quel canto la dolce melodia ..... ,
io adesso mi domando dov'é la poesia.... !!
La bianca, dolce luna, cara all'innamorato,
di giovani si freddi chissà cos'ha pensato !!!
Lasciamo stare....Dunque passavan lenti lenti,
facendo versi ed urli, persino dei lamenti.....
La gente che vedeva, ma che più ancor....sentiva
quegl'impeti furenti, benigna, compativa....
Si limitava solo.....per gran precauzione,
a quei frastuoni immani a non far attenzione,
E quando, in sulla sera, nelle penombra oscure,
sentiva la canzone, coro di voci.....pure,
e intravedea lontano le sagome confuse
di tante giovinezza contente, ma anche illuse,
souoteva tosto il capo e, con un gran sospiro:
"lasciateli passare - diceva - questo è il "GIRO" !!
E quelli se ne andavan, senza badare a niente,
forse ridendo e un sogno celando nella mente....
ma poi un dì han saputo e tutti, difilato,
hanno gradito il titolo così bene affibbiato...
così che, lusingati ed anche compiaciutì
per la trovata bella, son stati risoluti:
hanno ribattezzato la.....docile brigata,
Così il TOUR è sorto; la sede era gia natali!

Adesso voglio dirvi chi son che la compone;
e diro tutto il vero....perchè son sincerone.
I corridori sono bensì dei due sessi,
ma i privilegi sono per ambedue gli stessi.

Il Direttor di gara è il baldo Samuele
che, verso la vecchiaia, drizzato ha già le vele.....
E' allegro, ciò che nega quell'arìa sua funesta,
ma, se ci badi bene, per lui è sempre festa.
E ride disinvolto, coi suoi capelli grigi,
e ignora (lo sapete ?) con donne i bei litigi ...!!!
E' sempre in testa al gruppo giacché, tutti galanti,
e ... per rispetto agli anni, lo lasciano davanti !!

Preziosa consigliera gli è sempre_la Jolanda
cui, più o meno tutti, hanno da far domanda
o chiedere talora??...magari una sommetta....
Ed accontenta tutti, l'affabile donnetta.!

Il gruppo più...guardato (lasciatemelo dire)
è certo il femminino: or statemi a sentire,
Or voglio, a modo mio, (sono un po' farabutto)
il gentil sesso allegro descrivervelo tutto !!

La più caratteristica, in mezzo a quei girini,
é Rita di Milano .....famosa pei piedini.
Con la visiera tesa sul volto suo pensoso
creò quel canto ameno ch'é gia così famoso...

A lei vien dietro Mira, vestita sempre a festa,
con reazioni e prove, lambicchi nella testa..

Un'altra donzelletta: mariuccia Viganò,
(a chi mi chiede : è alta? - rispondo solo ohibò !

Un'altra piccolina è Lia di Codogno
che, come tutti, a Pigra ha fatto qualche sogno....

E poi la Dida in furia; tutto all'inferno manda....
Sua sorella Mimi è un punto di domanda ....!!

E poi c'é Antonietta col volto imbarazzato;
meglio l'avrei descritta se avesse un po' parlato....!!

Descriver Rina Dori adesso come faccio??
Dirò semplicemente che ha un libro sotto il braccio ....

Ed Iride la brava maestra suonatrice,
Elisa ....lacrimante ed abile pittrice.

La placida Renata sempre vivace e gaia; `
ha un sogno : diventare del Giro la magliaia !

In ultimo c'é Rita un poco originale
perchè sostien la tesi che il mondo sia banale...!!

E qui il mio cenno vada del Giro anche alla mamma
che compiacessi dare ogni più bel programma
e che godeva spesso in mezzo al gran rumore
dei giovani che andare facevanla in furore...

Passando al sesso forte, per primo dirò ancora
(ma in breve se no quello mi manda alla malora.)
di Sam, l'anziano frivolo ch'ha il cuore su una mano,
ma, quando ha in corpo Bacco, E un vero ciarlatano...
Strimpella la ghitarra, pizzica il mandolino,
a una pulzella invano offre un bel ciclamino...
Fecondo è il suo cervello. Ha um posto di statale.
Lavora poche orette ... Poi dice che sta male...!!
Egli su mille righe pretende che gli scriva!
Aspetta amico bello, aspetta che l'arriva ...!!

C'è pure il prode Anselmo, affabile e distinto;
c’è Muci che alla Sisal ancora non ha vinto...

Chi non conosce Vico e la sua frenesiaa?
E Renzo che gia sogna non proprio una Lucia ...?

E poi c‘è Fortunato, capelli riccioluti,
che dal sassofon trae persino .... gli sternuti !

C'é un Mario nella squadra, chiamato Puticiù
che spera diventare pompiere di Viggiù.
Ed Elo? Il dottorino di clinica primario,
é un tipo riservato ed anche ... refrattario,
Va a spasso con un libro, come la sua sorella,
né farlo spasimare potrà qualche donzella ....

Pinchetti viene dopo; l'indiffeerente Miro
che, agendo in gran segreto, giocato ci ha un bel tiro ...

Il biondo Severino tre lingue sa parlare,
ed Aldo la sua tenda in Francia andò a piantare.

Poi viene il Deo sornione, notturno suonatore;
è un calvo ch'é ostinato e .... attende ancor l'amore.

Giuseppe il grande artista, l'umile Fra Bernardo;
dicono ch'è un buon'uomo...talora un po' testardo..!

Contento e sempre ilare é invece Giovannino;
d'Italo la figura merita un pensierino...
Il più silente e docile di tutto il bel plotone,
(dolce per la Dulciora) é il placido Armandone.

Antonio il calciatore famoso giù a Rovello,
è il Franco grande grande, suo spirito gemello....
E l’ultimo arrivato in tanta compagnia,
il piccolo Corrado è gia una simpatia....

La bestia più gentile di tutto quanto il mazzo
é un Mario, meglio noto come "il cugino pazzo"..!
E' il più originale, forse il più mattacchione;
ripete, ed é convinto, “son quel simpaticone!"

Or prima di finire parlar di Gianni resta:
ha il chiodo per la roccia, ch'á un chiodo nella testa
(La libertà di dare due cenni mi son preso
perché or dal Cervino lo penso già disceso
e in mezzo a tutti quanti, felice e soddisfatto,
starà dicendo, allegro, che col demonio ha un patto)
La sua passion pel monte insomma é proprio immensa
e già lo sanno tutti, anche nella sua mensa,
perché non parla d'altro; camini, bei crepacci
ove ad allenare va spesso i suoi polpacci....
E sembra, trovi gusto a fare crode e rupi,
ad andare sulle cime ove non son né i lupi...!
In fondo si capisce quella sua tal mania
perché ad elevarsi tende la compagnia!
Infatti giunti in massa sono sul Col Gianàn;
arrampicare quindi tutti più o meno san.....

E' anche Sam maestro in simile ardimento;
sul Pizzo dei Deserti va a fare allenamento
e sempre gode un mondo nel suo più bel diletto
e spesso gli sta dietro l'amico prediletto...!

(puntini a volonta)

Adesso, per troncare tutta la chiacchierata,
dirò dell'ostinato che ha avuto 'sta trovata...·
Chi é? E' il maldicente che ha scritto questa storia,
sbucciandosi il cervello, sciupando la memoria...!

Or non applaudito cosi senza ritegno:  
vogliate sol "mirare" la testa sua di ... legno...!!
.......................................
Scusatemi signori se addsso mi ritiro;
ho ricordato tutti e reso gloria al "GIRO".!
(leggasi a piacimento: e preso tutti in giro....! )
FINE

firmato: ANTROPO
- al secolo : Mario Ponti -
(voglio il mio nome e cognome)

Ultimata in Santa Giustina (Trento) il 25.9.I95O - ore 24
(ritornando col pensiero ai bei giorni passati in lieta. compagnia)

Scritto da Quel Mario (al secolo Mario Ponti) - ringrazio la figlia Barbara per la pubblicazione

sbiraAL LUTT DAL CAMPANIN

Pasa fughent sul campanin 'na sbira.
La và, la và`fin caa ga paar a see...
e poo la frena e poo bel bell la gira,
la vola pusee fort, la turna indree.

La riva in primavera da 'na spunda
da là di vall, di munt, da là da maar,
la gira in da 'sti post e la sa punda
sul campanin che poo a lee 'l ghe caar.

Chi la sua noova vita la incumeenza;
cume 'na pasqua lee la viif cunteenta..
La sbiga via dal teec cun viulenza,
la sfiura tutt cui 'i al e la ralenta.

Da cursa poo la pasa su la scima
dal campanin; intuurnu a luu la vola;
la va da noof, la va 'n da l'eva prima,
la tuurna..., la cipiss e la gicoola.

L'è 'l pusee bel saluut che lee l'è boona
da fac al campanin vec e smacaa
e ai so tre campan che quenta i sona
i la saluda e i resta ricambiaa.

Parò su là ghè 'un voot; mo 'na campana
a la ghè più! La guera 'al laa vuluuda
e piü sa seent la sua vuus luntana...
Poo e la sbira la see'n' incurgiuda!

La voola sempru là e, disperada,
la vurarìss guarì quela ferida
perchè par quela lee mö l'è malaada!
OH poora sbira, chi ca l'aa capìda ???

Al paar ca meenca a lee quaicoss da gross;
la cerca chì, la vaarda là, la ruuga
e la seent quasi rumpass i sò oss;
ga paar da deventaa 'na tartaruuga!!

campanileAl campanin l'è senza 'na campana
e senza quela l'è deventaa brutt;
ii laa purtaada via e l'è luntana!!
Inteent a luu ga tooca purtà 'al lutt!!!

L'è mie luu dumà ca 'l pena e teent
e mia dumà luu l'è in cundizionn;
iscì l'è dal paiiss tuuta la geent
ca la piessc mia, ma ca la gaa 'l magoon!!


Le gaa 'l magoon; la seent una tristézza
na giò 'n dal coor par quela sua campana;
la vurarìss pruvà la cuntentèzza
da rivedela su' n da la sua tana.

E se capìss questa sua nustalgia:
quela campana l'eeva par lee tutt.
Da lee la degusta la meludiia
e par lee mo ga tooca purtà 'l lutt.

L'eeva par lee la sveglia matutina,
da la giurnaada l'eva le cumpagna
cunt la sua vuuss ca la rivava fina
in tucc i poost luntee da la campagna.

E dal mesdì l'eva par lee l'aviis;
l'Ave Maria la sunaava mesta
e col sò soon la risciarava i viiss;
la ribateva alegra al dì da festa .....

In fin di cuunt a leeva la sua vuuss
a la: matina quasi cum'el gall;
la faava i auguri a tuucc i spuuss
e la rivava fin giò 'n da la vall.

La géént lee le ciamava per la Meesa,
e la sunava cun duluu par i moort
e la sunava par al foocc in presa
e par difent cui armi la sua soort!

Mò la ghè più. La sbira al laa ciamada
luntee 'n dal muunt, chissà 'n da che cuntrada!!

QUEL MARIO - 1944
(al secolo Mario Ponti)
Poesia scritta da Mario Ponti a Firenze nel Giugno 1944

donne a PigraAnche questo racconto si ricollega all'era fascista.

In quegli anni a Pigra non c'era il solo pericolo per gli uomini che venivano mandati al fronte, ma esisteva anche il problema delle donne.

Mi raccontava mia mamma Lucrezia1, che lei e altre mamme o ragazze per procurarsi un sacchetto di riso, per mangiare, dovevano andare fino a Lodi nelle risaie, con viaggi che duravano anche due o tre giorni o più affrontando diversi chilometri a piedi e lottando contro la pioggia ed il tempo.

Sapete benissimo che adesso, uno che non ha l'automobile, e prova a spostarsi da Pigra fino a Lodi incontra delle enormi difficoltà, figuriamoci a quei tempi. Questi sacrifici erano dovuti alla mancanza di una dieta variata, perché non si poteva mangiare soltanto patate, castagne e polenta tutto l'anno, a parte qualche gallina o coniglio a Natale e Pasqua.

Durante questi viaggi ci si procurava anche un po' di sale, molto raro e ricercato a quei tempi. Il sale era considerato come l'oro.

Potete immaginare che sofferenze subivano queste donne.

Al ritorno, dopo questo stressante viaggio, sapevano che c'era il controllo della merce ad Argegno, che nell'era fascista era ferreo con uso di ronde sia sulle corriere che sui battelli che per quelli che procedevano a piedi. Appena vedevano che portavi qualcosa con te, controllavano subito e se la merce interessava a loro e te la sequestravano. Il riso purtroppo era una merce contesa, quindi c'era il pericolo che dopo aver fatto un viaggio lungo ed avventuroso, incontrando chissà quanti ostacoli, si arrivava ad Argegno prendendo tutte le precauzioni del caso e pur sapendo che il controllo era spietato, non si riusciva a procedere con tutto il riso. Certe volte purtroppo è capitato a qualcuno, con pianti disperati e sconsolati.

Pensare adesso di sequestrare un sacchetto di riso come se fosse droga o chissà che, lascia l'amaro in bocca, immaginando che tempi duri abbiano vissuto i nostri genitori. La forza e la volontà di combattere la vita anche nei brutti momenti, è riuscita a far superare anche questi periodi bui della storia italiana. La stupidità e l'ignoranza non possono durare a lungo, il buon senso alla fine vince.

Qualcuno si chiederà dov'è il lieto fine del racconto, semplice: a chi veniva sequestrato il sacchetto di riso, tutte le altre gliene davano un po' del loro.

Ora quando a me e a mia moglie Rita capita di passare a vedere il cartello con scritto Lodi, sento dentro di me un'emozione enorme pensando che da lì erano passate le nostre mamme per procurarci qualcosa di nuovo da mangiare.

P.S. Che bello sarebbe se anche noi, quando abbiamo il sacchetto pieno ne dessimo una piccola quantità tutti assieme a chi non è fortunato come noi e non né ha per sfamarsi.

Questo racconto ci insegna anche questo.

1 Ceschina Lucrezia, mia mamma era nata nel 1912

Scritto da Eliseo Ceschina – marzo 2010

HokeyFin dall'antichità le piazze erano luogo d'incontro e punto centrale della vita pubblica. In esse si riuniva il governo della città, si tenevano i processi e si esercitavano le pene, si svolgevano i mercati, si organizzavano i giochi e le celebrazioni delle ricorrenze pubbliche. Questa loro funzione è stata poi gravemente minacciata dall'avvento della motorizzazione che ha invaso prepotentemente le strade e le piazze minacciando le sicurezza dei pedoni, inquinando l'aria trasformandole spesso in orribili posteggi. Ultimamente nelle città con la creazione delle zone pedonali si sta faticosamente cercando di riportare alla loro naturale funzione.

Anche a Pigra, nel suo piccolo, ha la sua bella piazza. Fisicamente, da quando me la ricordo, ha praticamente mantenuto intatta la propria struttura. Delimitata a nord dalla casa della Lidia, dal muretto della Pinina (il muretto di Alassio), a est dal Circul, e sul lato sud c'è ancora la stessa ringhiera con la “scalota” che scende. L'unica differenza è che allora la strada che la fiancheggiava a nord era coperta dal “riscioo” mentre la piazza vera e propria era in terra battuta. Naturalmente era tutta libera, non c'erano le attuali aiuole-panchine, e non c'erano le auto. Era invece sempre popolata.

D'estate, ma anche d'inverno nelle giornate di sole, la gente si riuniva in piazza, seduta sul muretto o appoggiata alla ringhiera e li si discuteva di tutto, dalla politica allo sport, dalle cose pubbliche del paese ai pettegolezzi privati. Quanta malinconia vederla oggi disabilitata e silenziosa.

Calcio PigraPer noi bambini la piazza era il luogo di ritrovo e il parco dei divertimenti. Naturalmente si giocava alla palla, suscitando l'ira della Lidia e dei gestori della cooperativa, anche perché ogni tanto ci scappava la rottura di qualche lastra di vetro. L'autore del misfatto era sempre, manco a dirlo, il signor “Mi no”. Bisognava poi guardarsi dal Liviu, il messo comunale, che sbucava all'improvviso per sequestraci il pallone (o almeno quello che noi chiamavamo pallone che spesso era di stoffa o una semplie pallina di tennis) e prendere i nomi di chi giocava e mandarci a pulire le strade del paese. Innumerevoli erano i giochi che praticavano in piazza. Moltissimi ormai totalmente dimenticati. Ricordo il bes, al focu, l'oca, i tor, giochi molto belli che richiedevano destrezza e forza fisica. Non voglio qui descriverli anche perché piuttosto complessi, chi non li ha conosciuti e vuole levarsi la curiosità può leggerli nel libro “d'ind'èi d'indè” descritti con impareggiabile bravura dal Deo. Ma si giocava anche a topa, a la finta, ai bogi, ai cich, a bander, al mondo, ai quatru canton, cunt al serc, cunt al strinz, a maghi e libar, a guardia e sfross.

D'inverno quando capitavano le belle giornate di sole, c'erano sempre molti uomini che si godevano il caldo appoggiati alla ringhiera. Allora noi ragazzi si andava al Pradel, la via dietro la casa della Pinina e si tiravano palle di neve facendole spiovere oltre il tetto sulla piazza. Qualcuno in piazza ci gridava le coordinate, longa, curta, per consentirci di centrare il bersaglio. Questo naturalmente provocava la reazione di coloro che erano in piazza e si creavano battaglie a palle di neve (una volta la neve, a Pigra, scendeva a novembre e restava fino a marzo-aprile). C'erano poi molti altri giochi che non si praticavano in piazza come sumpà i mot dal fee, sumpà gio i mur, rempegas sui pient par ruba i scires, na al mulin a fa al bagn, al casciasas, met gio i tireli e molti altri.

D'altronde una volta i bambini vivevano completamente all'aperto, in casa si andava per mangiare e dormire, eravamo in molti e quindi il gioco era una naturale necessità.

La fantasia di generazione di bambini aveva saputo inventare numerosi giochi che si praticavano senza l'ausilio di particolari supporti, bastava un poco di destrezza e molta voglia di stare insieme e d divertirsi. Cosa volere di più?

Scritto da Bogi - Pigra 2005

Chi ha conosciuto il Pin sa che sto parlando di una persona esemplare. Tipo tranquillo, calmo, simpatico, sempre pronto alla battuta spiritosa, mai visto arrabbiato, insomma una persona semplice alla “bona” come diciamo noi in dialetto; anche lui piuttosto piccolino come me (suo figlio è il Renato “Bombolaio”, quello che ci porta le bombole o cherosene ancora attualmente, che tutti conosciamo e ha preso molto dal papà.

Io il Pin l'ho conosciuto già da quando faceva il “Casee”, quello che fa i formaggi e vende il latte. Come tutti sapete al pian terreno della Società Operaia detto “Cason” cioè Casagrande, dove ora ci sono i garage, c'era la latteria dove chi aveva le mucche portava il latte da vendere e per fare i formaggi. Noi in famiglia non avevamo la mucca quindi io ero uno di quelli che andava a prendere il latte col mio “Tulin” (secchiello) assieme ad altri ragazzi. Bisognava mettersi in fila e uno alla volta, il Pin, in base a quanto latte uno comperava col misurino glilo rovesciava nel secchiello. Questi misurini partivano da un quarto fino a un litro di latte appena munto.

C'erano due file diverse, una per chi portava il latte e una per chi comprava.

Il Pin, l'ho poi ritrovato a Lugano a lavorare fino alla pensione, perché si sa che col tempo le cose cambiano, le mucche pian piano sparivano e la campagna da sola non risolveva i problemi economici della famiglia. Quindi chiusura del Cason. Anche lui come tanti ha dovuto adeguarsi ad un altro tipo di lavoro.

Ho dovuto anticiparvi questo per farvi conoscere il Pin, perché durante l'era fascista ha avuto una storia abbastanza curiosa.

Riparlando ancora dei tedeschi, di quando arrivavano nei nostri paesi a cercare le persone abili da portare al fronte, apro una parentesi vorrei per un attimo spiegarvi come mai cercassero di più la gente che viveva in montagna, perché dicevano che gli uomini erano più abituati a sforzi fisici e a sbalzi di temperatura, quindi avevano una struttura più resistente e solida, senza togliere niente a chi abita in città, se poi dovessimo tornare alla guerra 1915-18 combattuta quasi tutta in montagna contro gli austriaci, dalle immagini di documentari storici, vediamo che chi portava i pezzi di cannone o altro erano quasi sempre esclusivamente Alpini o Artiglieri coi loro muli (naturalmente con tutto il rispetto per gli altri Corpi Militari) chiudo la parentesi.

Tornando al discorso, in paese ancora molto tempo prima che entrassero questi tedeschi, del Pin non c'era nessuna traccia. Sua moglie, l'Antonietta, diceva che suo marito era partito per il fronte da un bel po', perchè era stato preso dai tedeschi a Blessagno e l'avevano mandato al fronte, con il dispiacere di lei e paesani e il commento era: “Povero Pin, chissà se lo rivedrò ancora”. (circa anno 1943)

Il Pin e la moglie Antonietta prima abitavano sulla strada che porta alla Società Operaia, quasi in fondo, dove c'è quel gruppetto di case attaccate di fronte alla colonia.

Passa un anno dalla partenza del Pin, ma notizie non arrivano. Tanta gente incominciava a ritornare ma lui no, con il dispiacere della moglie, dei vicini e del paese. Passa un altro anno, ormai la guerra era finita e ancora niente, novità del Pin non ce ne sono, quindi la gente incomincia a pensare che ormai era dato per disperso e che non sarebbe più ritornato al paese e cercavano di consolare la moglie. Ma una mattina, dopo che la guerra era finita da un mese o più e stava tornando la tranquillità e la normalità, gli uomini che si ritrovavano in piazza a discutere e parlare di questo, videro ad un tratto comparire come un fantasma e lo stupore di tutti: il Pin.

Subito lo abbracciarono tutti contenti e alla domanda: “Meno male che sei ritornato”, lui rispose: “Ma io non sono mai partito”. Tutti rimasero stupiti da questa risposta, pensando scherzasse come sempre.

Io sono sempre rimasto a casa” ripeté, “mi ero nascosto nel pollaio e solo la moglie Antonietta lo sapeva.” E uno disse “allora tu sei stato più di 2 anni chiuso in un pollaio e neanche i vicini se ne sono accorti” e lui ripeté che era stato proprio così; a questo punto tutti si fecero una bela risata ironica, perché nessuno avrebbe mai immaginato che una persona così semplice e alla “bona” avrebbe avuto questa brillante idea per avere salva la vita.

Certo che è stata una bella idea a lieto fine, ma anche per lui e sua moglie non deve essere stato certo facile per più di due anni tenere nascosto questo fatto al vicinato e al paese.

Anche questa storia ci insegna che certe volte sbagliamo a giudicare una persona dall'apparenza o dal modo di comportarsi o agire, ma bisognerebbe conoscerla di più profondamente, perché dentro a ognuno di noi possediamo delle capacità e delle risorse insospettate che se siamo capaci di metterle in opera e in pratica nel modo giusto e intelligente, queste qualità fan di noi una persona molto utile per la società.

Scritto da Eliseo Cescina – marzo 2010

SanRocco    InnevataCon le prime nevicate incominciava per noi il grande divertimento dello slittare. Tutto il nostro tempo libero era dedicato a questo divertimento. Si slittava in tutte le strade del paese, ma le piste più belle e più frequentate erano quelle alla Villa. Qui si tracciavano molte piste di diversa lunghezza e di diversa difficoltà. Proverbiale era la pista dai tri sumpi così chiamata per i tre salti che si facevano lungo la sua discesa. Questa pista era il banco di sfogo alla fantasia e alla spericolatezza anche nel modo di scendere: seduti normali, o sdraiati (a rana), o in cu indree, oppure si faceva il treno legando tra di loro diverse slitte. Alcune volte scendevamo in gruppo con la slitta di sera, rischiarati dalla luna, lungo la mulattiera fino ad Argegno e di questo ho un vivo ricordo oltre che del piacere che ci procurava la discesa, anche della grande fatica che ci costava la risalita con la slitta sulle spalle.

Dopo molte ore passate sulla neve quando si tornava a casa eravamo bagnati fradici e con i piedi, dato anche le calzature di fortuna che avevamo allora, congelati. Quando accanto al camino ci si toglieva le scarpe e calze spesso i piedi erano viola per il freddo, e al calore del fuoco na nava dent i pic. Naturalmente seguivano poi giorni di mal di gola e di febbre.

Chiesa InnevataQuesto voleva dire per noi bambini l'arrivo della neve.

Per gli adulti invece la cosa era meno divertente. Tutti allora si mobilitavano con pale e badili a far la cala nelle vie del paese. Già al mattino presto si sentivano gli uomini al lavoro per pulire le strade. Con la neve si riempiva pure la nevera vicino alla latteria per tenere al fresco il burro durante l'estate. È capitato anche più di una volta che la neve molto abbondante non consentisse il passaggio della cala, allora trainata dai buoi del Birulin di San Fedele, lungo la strada carrozzabile che porta a San Fedele. In questi casi al suono della campana della chiesa di San Rocco tutti gli uomini validi, muniti di badile e divisi in squadre provvedevano a sgomberare la strada fino, a Blessagno. Questo per consentire l'accesso alle poche macchine che portavano i rifornimenti in paese e al dottor Bassi, che da San Fedele con la moto, veniva due giorni alla settimana a visitare gli ammalati.

Monumento InnevatoI tempi sono proprio cambiati e queste sembrano storie incredibili, visto che al giorno d'oggi, quasi più nessuno si preoccupa di spazzare la neve neppure davanti all'ingresso della propria abitazione, insensibili come siamo diventati anche di fronte ai grossi disagi che la neve procura alle persone anziane, sempre più numerose nel nostro paese.

Scritto da Bogi, (tratto dal calendario dell'associazione non ti scordar di me 2005)

IN PROSSIMITA’ DELLA FESTA DEL 25 APRILE UN RACCONTO SULL’OCCUPAZIONE TEDESCA A PIGRA

Giovani balillaDurante la seconda guerra mondiale, dal 1943 al 1945, anche Pigra subì l’occupazione nazifascista. Pur essendo un piccolo paese giungevano anche qui truppe tedesche per fare rastrellamenti, e rapire uomini, giovani e adulti abili da inviare al fronte, costretti a combattere e morire per Hitler e Mussolini.

Ma i Pigresi erano ben organizzati e grazie alla speranza, alla furbizia e alla determinazione si può dimostrare che Davide può battere Golia. Prima dell’arrivo delle truppe in paese, alcune vedette molto attente segnalavano per tempo il pericolo, e così gli uomini, che a quel tempo erano tanti, trovavano il tempo di nascondersi.

Il loro nascondiglio, di solito, era la cantina, con a lato un piccolo locale nascosto, detto “Bocula”. L'entrata di questo piccolo passaggio veniva coperto da patate o fogliame, fatto talmente bene che era praticamente impossibile immaginare che lì sotto ci fosse nascosto qualcuno.

Altro nascondiglio era il solaio, a casa nostra detto “Graa”. Anche questo con a fianco un piccolo locale nascosto. Si copriva la porta con le fascine di legno che, all'epoca, tutti usavano per accendere il fuoco.

Questi nascondigli si potevano trovare solo grazie a una spiata, che non si verificava grazie alla forte solidarietà tra tutte le famiglie del paese.

Questi nascondigli evitavano agli uomini di non essere catturati e spediti al fronte. Ruolo determinante lo avevano le mogli. I tedeschi quando arrivavano in paese, verificata la mancanza di uomini, rastrellavano casa per casa chiedendo alle donne dov'erano i loro mariti. Queste con grande carattere e per niente intimidite, riferivano che i mariti e i figli erano già partiti per la guerra. Non fu per niente facile, per queste donne, riuscire a convincere i tedeschi, nonostante tutte le pressioni e intimidazioni dei soldati per ottenere la verità.

Mia mamma mi raccontava di quando erano entrati a casa nostra per cercare mio papà, classe 1908. Lui era ovviamente nascosto nel solaio, lei aveva in braccio mia sorella di due anni. Un tedesco gliela strappò dalle braccia, prendendosela in braccio. La minacciò che se non avesse parlato, se non avesse confessato la verità, avrebbe fatto del male a mia sorella. Mia mamma non cedette e convinse i tedeschi che il marito era al fronte. Momenti certamente non facili vissuti da mia mamma.

Mio papà Rocco fu comunque mandato ugualmente in Jugoslavia che allora era una nazione unica. Riuscì a salvarsi con altri compagni, scappando da una brutta situazione, dannosa e disastrosa per tutti.

Mi diceva che aveva fatto tanta di quella strada a piedi, giornate intere di cammino con i compagni. Non conoscendo la zona, seguivano le indicazioni delle fermate ferroviarie e per non perdere la direzione seguivano i binari del treno. Ben poco tragitto fecero in treno. A quel tempo i treni erano super controllati e bisognava evitare di essere catturati e inviati al fronte. Più faticoso, ma certamente meno pericoloso, fu effettuare un lunghissimo percorso a piedi.

Durante questo tragitto portavano con loro una valigia con qualche piccolo indumento e pochissimi viveri. Portavano la valigia in spalla come una bricolla per essere più liberi nei movimenti.

Nella valigia, mio papà aveva riposto delle pelli di volpe bianca che, a quei tempi era molto pregiata e facilmente vendibile. Basti pensare che in Val d'Intelvi si cercavano e pagavano le pelli di coniglio. Mi raccontò che le volpi venivano ammazzate la sera, nell'accampamento in Jugoslavia, quando si avvicinavano attratte dal fuoco acceso e dall'odore del cibo. Quando mi raccontava questo io rimanevo perplesso ed incredulo. Non conoscevo l’esistenza di volpi bianche. Nei nostri boschi vivevano solo volpi di colore marrone rossiccio.

MilitareMio papà giunse a Como da solo. I suoi amici avevano seguito altre strade verso il loro paese di origine. Quando vide il lago, non credette ai suoi occhi. Gli tornavano con lacrime di nostalgia quei pensieri fissi che lo tormentavano alla sera, sui confini della Jugoslavia: “Riuscirò a tornare a casa e rivedere mia moglie e i miei figli?”.

Si riprese e tirò un sospiro di sollievo, ormai era a un passo da casa. Aveva lasciato il passato al passato. Nella sua mente ora c'era solo il posto per un unico pensiero, quello di riabbracciare finalmente la famiglia e i suoi cari.

Prese così il battello diretto verso Argegno. Il suo sguardo era sempre incollato sulle montagne. Non vedeva l’ora di passare il Punto Torriggia per scorgere Pigra sopra la montagna. Quando vi arrivò suoi occhi si fecero più grandi e lacrime di gioia infinita cominciarono a scendere. Rivedeva il suo paese tanto desiderato.

Sbarcato ad Argegno, un brivido terribile: fu sottoposto al controllo passeggeri e merci. Rimase pietrificato, si sentì come pugnalato al cuore. La sua gioia e il sogno di un suo ritorno svaniti a un passo da casa, il timore di essere rimandato al fronte.

Per fortuna e per Grazia di Dio, perché sono convinto che c'è sempre qualcuno che veglia su di noi, gli sequestrarono solo le pelli di volpe e lo lasciarono libero. “Fu un vero miracolo” mi disse. Si avviò verso la mulattiera che da Argegno porta a Pigra, passando dalla Cappella di S. Antonio (a quel tempo ancora ben tenuta), luogo di preghiera di tutti i Pigresi. Fece una lunga sosta, ringraziando Sant’Antonio e Dio per la grazia ricevuta.

Mio papà non portò a casa le pelli di volpe bianca, ma la cosa più importante che esiste al mondo: la libertà insieme alla gioia di riabbracciare tutti.

Scritto da Eliseo Ceschina