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Maschere1

FEBBRAIO - IL CARNEVALE

Questo, naturalmente, è il mese delle maschere, a Pigra.

Oltre al solito ritrovo di un giorno con tutte le maschere, che ci sono tutt'ora, alla sera c’era una particolare usanza alla quale anch’io partecipavo. Diversi gruppi di maschere, e qualche solitario come me, giravamo tutte le case, vestiti in maschera, cercando di non farci riconoscere, anche se poi venivamo spesso individuati con il nostro nome. Ma noi facevamo finta di niente per non dar la soddisfazione di averci riconosciuto, anche perché noi facevamo di tutto per vestirci in modo da essere irriconoscibili.

Chi veniva riconosciuto all'uscita della casa, rimaneva molto male, dicendo: “i mà cugnusuu, cuma varai l'ai”; senza rendersi conto che a quei tempi erano pochi quelli che potevano comprarsi le maschere.

 

Qualcuno, per trasformarsi, usava i fazzoletti ed i vestiti erano i pantaloni del papà per noi bambini e le gonne delle mamme o nonne per le bambine, quindi a pensarci bene non era così difficile riconoscerci.

 

Prima di entrare in casa si chiedeva sempre il permesso con la frase: “Sa po' gni i Mascar”, naturalmente cambiando tono di voce.

Tutti ci facevano entrare, senza problema, perché dicevano: “tante maschere, tante castagne”. A quei tempi le castagne erano molto importanti per le famiglie.

Le maschere che giravano alla sera non erano solo composte di bambini o adolescenti, ma anche di gente adulta.

Quando facevano le sfilate in giro al Paese con la banda, qualche musicante e diversi adulti si vestivano e si pitturavano in modo divertente. Alla fine della sfilata tutti in Piazza Roma a mangiare “fighiscioo e turtei”, preparati dalle mamme, accompagnati da vin brulè, cioccolata calda e un mucchio di risate e commenti scherzosi da come erano vestiti.

Bei ricordi

Testo di Eliseo Ceschina - Febbraio 2010

GENNAIO - IL GIORNO DI FESTA - "AL DI' DA' LA' FESTA"

EmigrantiDi solito la Festa si svolge la terza domenica di Gennaio. Questa è una Festa grande per il paese, ai tempi più sentita, perchè c'è dietro anche una tradizione e aveva un'importanza maggiore. Era l'ultima domenica che i nostri papà o nonni erano a casa, perchè dopo partivano per il lavoro.

La maggior parte in "Isvizzera" e fino a Natale non arrivavano. Qualcuno magari in estate per la Festa di San Rocco.

 

La Festa si festeggiava così: la Banda musicale prima della Processione si trovava a suonare in Piazza, dove veniva ricompensata da chi gestiva il Bar Cooperativa, con un bel fiasco di vino, versato (rovesciaa) dentro una scodella (la scuella) e i musicanti se la facevano passare di mano in mano, bevendone un sorso a testa, finito di suonare ci si avviava alla chiesa tutti assieme, per la Processione in giro al paese (come si fa tutt'ora).

 

Ai tempi finita la Processione, c'era la Fughetta che si rifugiava, di solito al Bar Cooperativa, a suonare e cantare con tutti noi. Tucc i sema. (bei ricordi).

Il giorno dopo però la partenza era un pò triste, specialmente per chi lasciava la moglie e i bambini. Al contrario per noi bambini era quasi bello, perchè alla partenza ci si trovava tutti in piazza per i saluti e c'erano le macchine (taxi) tra l'altro due di Pigra: il Luis e il Felice, che portavano i lavoratori a Como per prendere il treno. Per noi ragazzi, vedere le auto, a quei tempi, era il massimo della gioia.

Per noi di Pigra la parola emigrante vuol dire: lavoratore, comportarsi bene, accettare le leggi che ci sono dove vai a lavorare e la situazione in cui vivi.

A quei tempi, vi assicuro che anche per noi giovani, non era facile, ma ci siamo adeguati, questo grazie anche all'insegnamento di chi era più anziano di noi.

Questo modi di comportarsi bene in casa d'altri è sempre stato fatto sia da noi che dai nostri papà, ed è per questo che io sono orgoglioso di essere di Pigra, perchè quello che abbiamo, tanto o poco che sia, ce lo siamo guadagnato con tanto lavoro e sacrificio, senza l'aiuto di nessuno e dovesiamo andati a lavorare, abbiamo sempre lasciato un bel ricordo, perchè siamo riusciti, con il nostro comportamento civile e corretto e la voglia di lavorare a far capire a loro il perchè dovevano accoglierci. Questo è il vero significato della parola emigrante

Testo di Eliseo Ceschina - Gennaio 2010