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Ungheria larianaArtisti dei laghi - Anche architetti militari della Valsolda, dell’Alto Lario oltre che del Canton Ticino risposero all’appello di Ferdinando II d’Asburgo
Le fortificazioni sorte per fronteggiare gli Ottomani furono realizzate da maestranze della Valle Intelvi

Sedicesimo secolo: in un’Europa sconvolta dalle guerre dinastiche, le armate dei sultani di Istanbul risalgono i Balcani, giungendo alle porte del mondo cristiano. Occupata la grande Ungheria alla battaglia di Mohács (1526), dal 1541 solo le aree Ovest e Nord del paese, dalla costa dalmata alla Transilvania, li separano da Vienna.
Per fronteggiare la minaccia, Ferdinando II d’Asburgo – re di Boemia e della residua Ungheria dal 1526 al 1564 – arruola uno stuolo di architetti militari della

Valle Intelvi, della Valsolda, dell’Alto Lario fra Menaggio e Bellano, dei baliaggi svizzeri di Mendrisio e Lugano e della Valtellina grigione, perché progettino e realizzino una catena di fortificazioni.
«La presenza degli artisti dei laghi lombardi quali tecnici della difesa in quella regione inizia nel 1520-30, sino al 1739 circa», sottolinea Marino Viganò, storico, autore di svariati studi sull’ingegneria militare, di recente intervenuto al seminario “Artisti dei laghi in Ungheria dal Medioevo all’Età moderna” promosso dall’associazione intelvese Appacuvi.
«Il ruolo degli architetti lacustri, dal punto di vista militare, fu fondamentale. A loro si deve la costruzione della linea di piazzeforti che consente agli imperiali e agli ungheresi della Transilvania di reggere l’urto degli ottomani e di respingerli a Est», dice l’esperto.
Esempi di queste fortificazioni sono ancora visibili lungo il Danubio: da Bratislava (nella foto di Massimo Moscardi) - a quel tempo capitale del regno d’Ungheria, dopo la caduta di Buda in mano agli ottomani – a Györ, Komárom e Petrovaradin; ma anche in Transilvania, da Nagyszeben a Koloszvar a Gyulafehérvár, fortezze di carattere offensivo, potenziate durante la fase di riconquista asburgica e il ripiegamento ottomano dell’area centro-orientale ungherese, nel 1686-’99 e 1717-’39.
Degli ingegneri poco si sa, a volte appena il nome, spesso storpiato in tedesco e in magiaro. Fra i più noti, Pietro Ferrabosco da Laino d’Intelvi, Francesco Spazio e Francesco da Pozzo, pure intelvesi, Gregorio da Menaggio, Bernardo Magni da Bellano, Francesco Brilli da Cureglia e Giovanni Morando Visconti da Curio, nel Malcantone.
«Stile e tecniche delle fortificazioni sono, inizialmente, della “scuola bastionata neoitaliana” del ’500. Poi, dalla fine del ’600, si fanno interpreti delle scuole più moderne, quella francese e neofiamminga», dice Viganò.
Ai tecnici insubrici si devono altre iniziative basilari. «La penisola balcanica è, per gli imperiali, un territorio ignoto, dopo un secolo e mezzo di occupazione turca. Il lavoro di architetti e cartografi dei laghi è produrre mappe delle aree riconquistate, come l’Alta Serbia, il banato di Temesvár e la Piccola Valacchia».
Protagonista di questa fase è Giovanni Morando Visconti, autore del progetto della piazzaforte di Alba Iulia (1714-’36) e deceduto - nel 1717- proprio nella cittadina oggi romena. Una lapide nella cattedrale lo ricorda.
«Non si può escludere che nelle fortezze ottomane nei Balcani ci sia la mano di “magistri” lacuali: chi siano, però, non è dato sapere: i documenti turchi sono ancora da indagare», aggiunge lo studioso.

L’epopea delle maestranze militari delle nostre valli cessa a metà del Settecento. «Ogni esercito si dota di un corpo del Genio nazionale, rendendo superflui i servigi dei lacuali. Inoltre dai Paesi Bassi, annessi nel 1714 all’Impero asburgico, che ingloba il nuovo regno d’Ungheria, giunge una nuova generazione di ingegneri, che in breve li soppianta».
Corriere Como

Franco Cavalleri